Nell'estate del 1643 un giovane piemontese naufraga, nei mari del sud, su di una nave deserta. Di fronte a lui un'Isola che non può raggiungere. Intorno a lui un ambiente apparentemente accogliente. Solo, su un mare sconosciuto, Roberto de la Grive vede per la prima volta in vita sua cieli, acque, uccelli, piante, pesci e coralli che non sa come nominare. Scrive lettere d'amore, attraverso le quali si indovina la sua storia: una lenta e traumatica iniziazione al mondo secentesco della nuova scienza, della ragion di stato, di un cosmo in cui la terra non è più al centro dell'universo. Roberto vive la sua vicenda tutta giocata sulla memoria e sull'attesa di approdare a un'Isola che non è lontana solo nello spazio, ma anche nel tempo.
Con una cronologia della vita dell'autore e dei suoi tempi a cura di Antonio Pitamitz e una nota introduttiva di Roberto Cantini L'uomo e il suo destino nel labirinto del mito Dialoghi con Leucò, il libro più caro a Pavese, che egli aveva con sè al momento della morte, è un eccezionale strumento di indagine che coglie la realtà piú intima dello scrittore. Nella raccolti di dialoghi con se stesso e intorno a se stesso, circola la cruda tematica esistenziale dell'uomo Pavese, riscattata dal gusto della favola e dallèsuberanza della parola e dell'indagine. Egli interroga e sviscera quanto il suo subconscio desidera nascondere o mistificare - infanzia, amore materno, sesso, morte - nel tentativo di carpire il mito là dove esso nasce, inquietamente fiducioso in un riscatto e in una espiazione catartica. L'intelligenza, un linguaggio appassionato e bruciante, la vastità delle intuizioni hanno permesso a Pavese di illuminare angoli incerti e fin allora mal rischiarati di un immenso fondale mitologico.
«La luna e i falò - scrisse Piero Jahier nel ’50, quando questo romanzo di Cesare Pavese venne pubblicato - è il viaggio nel tempo di un trovatello cresciuto bracciante in una fattoria delle Langhe, emigrato in America, e tornato con un po’ di fortuna nelle sue campagne alla ricerca del tempo perduto, e il ritrovamento della propria formazione intima, attraverso le esperienze di garzone di fattoria e di emigrante. Tutto qui è semplice e corale, comunicativo e conseguente, solido e necessario. Anche lo scrittore è rientrato in patria. E nella lingua, come nella rappresentazione di cose e creature, appare qui qualcosa che è nuovo nella letteratura italiana. Il famigerato paesaggio decorativo o lirico, stato d'animo impressionistico o geometrico degli artisti decadenti, è ritornato la terra modellata dalla dura fatica dell'uomo. In nessuna delle sue opere, Pavese era riuscito a condensare in una sintesi narrativa tutti gli elementi della propria personalità spirituale, facendo dimenticare l’impegno dello scrittore nella naturalezza della creazione, come in questo suo ultimo libro».